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Nella garitta all’angolo nord di Castel S. Elmo a Napoli, la notte del 7 gennaio 1782, Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, iniziava le rilevazioni astronomiche che avrebbero portato alla stesura dell’Atlante del Regno di Napoli: la carta di un grande territorio geograficamente più avanzata del suo tempo. Quarantasei anni, uomo geniale, talentuoso, intellettualmente vivacissimo, ma anche umorale, egocentrico, incapace di relazionarsi con colleghi che non fossero a lui sottoposti, con un altissimo concetto di sé, Rizzi Zannoni, il più grande geografo italiano del Settecento, era nato a Padova nel 1736, ma fin dalla giovinezza aveva viaggiato senza posa in Europa – Germania, Francia, Spagna, Inghilterra – e forse anche in Canada. Una vita avventurosa, che lui stesso definì romanzesca. Già nel 1757, a ventun anni, aveva abbandonato, a causa di “un disgraziato incidente”, un evento che nella sua corrispondenza rimane sempre velato nel mistero, la città natale, per trasferirsi in Germania, dove aveva redatto le sue prime carte geografiche
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Fu però a Parigi che incontrò la persona che avrebbe determinato la sua carriera e la storia della cartografia italiana: Ferdinando Galiani, segretario dell’Ambasciata napoletana nella capitale francese. Nel 1769, su incarico di questo, redasse, appunto a Parigi, la “Carta geografica della Sicilia Prima”, che, benché dedotta da materiali esistenti (anche da antiche carte aragonesi), risultò di gran lunga la miglior carta del Regno di Napoli realizzata fino ad allora; e, soprattutto, fu grazie agli sforzi di Galiani, che più tardi, nel giugno del 1781, poté recarsi nella capitale campana per occuparsi della nuova carta del Regno, che si sarebbe fondata su precisi rilevamenti sul terreno, eseguiti con le tecniche più moderne. In quell’inizio del 1782 la Commissione per la carta geografica del Regno di Napoli, cioè la “squadra” dedicata alla stesura dell’Atlante (e, in nuce, il primo ufficio cartografico d’uno stato italiano) era formata da 5 persone: il Galiani (con compiti solamente amministrativi), il Rizzi Zannoni, regio geografo, il geografo Antonio Moretti, Rocco Bovi, calcolatore pagato a prestazione e Giovanni Ottone di Berger, disegnatore (cfr. V. Valerio. Società uomini e istituzioni cartografiche nel Mezzogiorno d’Italia. Firenze IGM, 1993 p. 129). La garitta settentrionale di Castel Sant’Elmo fu assunta come riferimento centrale della carta: tutti i luoghi furono geograficamente posizionati secondo la distanza dalla meridiana e dalla perpendicolare passanti per quel punto. I lavori proseguirono velocemente, nonostante che le misurazioni e rilevamenti sul terreno fossero accolti spesso con ostilità dalle comunità locali, preoccupate che la conoscenza del territorio facilitasse un più stringente controllo del potere centrale. Nel 1787 erano pronti per l’incisione 6 fogli dei 31 previsti; quando, nel 1788, i disegni dei fogli che riguardavano lo stretto di Messina e la Calabria Ultra furono presentati al Re, la superiore qualità geografica rispetto alla carta delle stesse zone disegnata solo pochi anni prima, dopo il terremoto del 1783, da padre Eliseo della Concezione per l’Accademia delle Scienze napoletana, emerse in maniera imbarazzante.
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I lavori continuarono speditamente fino al 1795-1796, arrivando ad un terzo dell’intera opera. A questo punto irruppero le necessità della guerra contro i francesi: il controllo e le decisioni sulle priorità passarono nelle mani dei militari. Serviva impiegare i geografi per la conoscenza delle aree belliche. Solo nel decennio napoleonico, 1806-1815, gli sforzi ripresero con impegno e tenacia (oltre che con un aumento delle professionalità e delle persone impiegate, che assicurerà un vantaggio di conoscenze e capacità al Meridione d’Italia che durerà 70 anni) e l’Atlante fu completato: l’ultimo foglio, la Basilicata, fu terminato nel 1812, due anni prima della morte di Rizzi Zannoni. Come ha affermato Vladimiro Valerio, il maggior studioso del geografo padovano, la cartografia meridionale era uscita dal medioevo.
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