Il fenomeno delle contraffazioni belghe – cioè la stampa in quel paese di edizioni non autorizzate di opere di autori francesi, in contemporanea, o addirittura in anticipo, rispetto alle prime edizioni parigine – cominciò dopo il 1815 ed esplose intorno al 1830. All’epoca le leggi sul copyright erano applicate solo a livello nazionale: ciò che era pubblicato in una nazione diventava di pubblico dominio in altre. Non c’era quindi nulla di illecito nel ristampare, tradurre, organizzare, adattare, troncare, plagiare opere estere. La parola contraffazione, che suggerisce la presenza d’un’azione fraudolenta, dunque, non è del tutto appropriata; e non lo è anche perché reca in sé delle sfumature di significato peggiorative che non corrispondono alla qualità delle edizioni. Anzi: favorita dall’assenza di commissioni agli autori e dai costi di fabbricazione ridotta, una produzione di alto livello fu uno dei principali punti di forza dei “falsari”. Le opere erano perlopiù impresse in formati minori: in-16 e in-18 o in-18 piccolo, su carta di ottima qualità. La composizione tipografica non fu trascurata: i testi furono adattati ai formati minori con una grande maestria nell’arte di comporli sulla pagina.
Spesso però succedeva che i Belgi piratassero direttamente le edizioni in fase di stampa e che, per superare gli editori francesi, non esitassero a corrompere i tipografi nelle officine, per ottenere i fogli corretti man mano che andavano in torchio; apparivano così a Bruxelles titoli di autori francesi prima che il detentore dei diritti di copyright li avesse messi in vendita a Parigi. In questi casi l’azione non poteva che essere considerata fraudolenta, colpevole e odiosa; un’impresa sleale che causava un danno all’editoria francese, rendendone difficile l’espansione e sfruttandone il lavoro intellettuale e il processo produttivo. In una prima fase gli editori belgi si limitarono a vendere le edizioni solo a livello locale (tra il 1820 e il 1828 tutta la tipografia belga messa in circolazione ammontò a sei-sette milioni di fogli e le sue esportazioni rimasero insignificanti), ma dopo il 1830 la produzione decollò. Si costituirono formidabili società, con grandi capitali, per sfruttare, su larga scala, la contraffazione dei libri francesi: Louis Hauman & C.ie, Méline, Cans & C.ie, Adolphe Wahlen & C.ie, ed altri ancora. Furono istituiti nuovi punti vendita e quotidianamente venivano spediti in tutta Europa e in Nord America pacchi pieni di volumi. L’inchiesta sulla contraffazione di libri in Belgio, condotta dalla Société des Gens de Lettres di Parigi, stimó che nel 1838 la tipografia belga avesse stampato 32 milioni di fogli e pubblicato oltre 650.000 volumi. Nove decimi delle opere mutuate dalle varie letterature europee erano francesi. Questa grande produzione condusse le società editrici a farsi una concorrenza spietata che portò al crollo dei prezzi. Nel 1841 Jamar & C.ie – un piccolo editore belga marginale – pubblicò a 1.40 franchi la stessa opera che Balzac vendeva a Parigi a 7.50 franchi e che le grandi aziende vendevano a Bruxelles a 3 franchi.
È facile comprendere l’irritazione dell’industria transalpina. Alcuni editori, tra i quali Hetzel, tentarono invano una controffensiva allestendo a Bruxelles uno sportello di librai francesi, per vendere i loro libri a prezzi scontati e “abbattere” così il vantaggio del materiale contraffatto; ma si dovette attendere la promulgazione di un riconoscimento internazionale del principio della proprietà letteraria per costringere il Belgio, dopo molte esitazioni, a firmare con la Francia un trattato che abolisse la contraffazione dei libri: firmato nel 1852, il trattato fu applicato solo dal 1854.
Cos’altro aggiungere per concludere questa breve relazione? Che forse, nonostante i loro molti abusi, agli editori belgi va riconosciuto il merito di aver introdotto la letteratura francese in paesi, ambiti e classi sociali che non erano stati fino ad allora raggiunti e aver contribuito così alla sua diffusione nel mondo.
Ecco alcuni libri contraffatti e stampati in Belgio: